Il Pianto della Madre si è spento
Ogni giovedì alle tre e mezza del pomeriggio era davanti al palazzo presidenziale di Buenos Aires, in Plaza de Mayo, insieme a centinaia di donne, a gridare ‘dove sono i nostri figli’. Nelle loro mani le foto dei familiari scomparsi nel nulla. Hebe Maria de Bonafini Pastor avrebbe compiuto 94 anni il 4 dicembre 2022. E’ morta senza sapere nulla dei figli Jorge Omar e Raul Alfredo e della nuora Maria Elena Bugnone. Jorge Omar, 26 anni, insegnante di matematica, l’8 febbraio del 1977 venne preso a forza dalla sua abitazione, torturato, incappucciato e portato via. Il 6 dicembre dello stesso anno toccò al fratello Raul Alfredo, 24 anni, studente di zoologia, fu rapito durante una riunione sindacale. Come il fratello era attivista del partito comunista marxista leninista. Sua moglie Maria Elena su prelevata dalla pensione in cui viveva il 25 maggio 1978.
Durante il regime della giunta miliare tra il 1976 e il 1983 sono scomparse, accertate, 8589 persone. Secondo molte fonti oltre 30.000. Sono i desaparecidos dell’Argentina, né morti né vivi. Il termine spagnolo viene tradotto con sparizione forzata. Dopo essere stati torturati in centri clandestini di detenzione, molti venivano caricati semicoscienti in elicottero o aereo al largo dell’oceano atlantico e gettati vivi nel vuoto. Neonati sono stati sottratti alle madri e dati in adozione a famiglie potenti legate al regime. Hebe non ha mai smesso di lottare. Passò dagli ospedali, agli obitori, ai ministeri, alla Chiesa in cerca di notizie sui figli e sulla nuora. Nessuno le dava retta. Tutt’al più offrivano una preghiera. La sua famiglia era povera e Hebe non riuscì a finire le elementari perché mancavano i soldi per pagare il biglietto dell’autobus che la portasse a scuola. E’ diventata il simbolo delle donne che non demordono e non si arrendono neppure di fronte alle dittature più spietate. Era il 1977. Da un anno i militari erano al potere. Insieme ad alcune donne che stavano vivendo il suo stesso dramma Hebe decise di ritrovarsi ogni giovedì in Plaza de Mayo a sfilare con cartelli e foto dei loro familiari. E’ la piazza storica e più importante di Buenos Aires. Qui ha sede la cattedrale dove celebrò messa l’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco. Ci sono banche, ministeri. C’è la Casa Rosada, il palazzo del governo con suo il balcone da cui si affacciavano Juan ed Evita Peron.
Ma il giovedì pomeriggio la piazza veniva chiusa per non far vedere chi protestava. Gli assembramenti erano vietati. Tre persone insieme costituiva un reato e così le madri decisero di tenersi sottobraccio. Due alla volta camminavano in silenzio intorno alla piazza. Sono state a volte picchiate a volte arrestate. Un pugno di donne diventò un fiume che nemmeno una dittatura riesce a fermare. Per riconoscersi decisero di mettersi un velo bianco in testa che divenne il simbolo della loro rabbia e determinazione. Il dolore era diventato una lotta. Hebe con altre donne fondò l’Associazione Madri di Plaza de Mayo rimanendo presidente fino alla sua morte il 20 novembre 2022. L’Argentina in suo onore ha decretato tre giorni di lutto nazionale.
La incontrai un giovedì di quaranta anni fa, mentre in quella Plaza de Mayo gridava la sua rabbia. Con la dittatura ormai al capolinea la transizione democratica stava con fatica muovendo i primi passi. L’Argentina cercava di uscire dal pantano della ‘Guerra Sucia’, la guerra sporca. ‘Sono prima di tutto una madre’, diceva. In quei giorni andavo spesso in una copisteria per fotocopiare materiale che mi sarebbe servito per alcuni articoli che stavo scrivendo sull’Argentina. Il gestore della copisteria si avvicinò e mi disse: ‘Mi ricordi un giovane. Come te veniva qui spesso a fare delle fotocopie. Poi un giorno mentre era qui sono entrate delle persone e l’hanno portato via. Non l’ho più visto’.
Negli arresti e nelle retate sono finiti non solo i dissidenti al regime militare. Bastava a volte un semplice sospetto di attività antigovernative per finire in una camera di tortura. Quattro anni prima in Cile al là delle Ande un colpo di stato dei militari guidati dal generale Augusto Pinochet rovesciò il governo democraticamente eletto di Salvador Allende. Migliaia di oppositori vennero arrestati, torturati, uccisi. Anche in pieno giorno davanti alla gente. Circa 40 000 prigionieri, tra il settembre e il novembre 1973 furono detenuti nello Stadio nazionale di Santiago. Gli spogliatoi diventarono camere di tortura e esecuzioni. Le immagini di migliaia di dissidenti ammassati fecero il giro del mondo indignando l’opinione pubblica. La finale della Coppa Davis di tennis del 1976 si svolse nel complesso di quello stadio. L’Unione Sovietica boicottò la semifinale contro il Cile e fu squalificata per due anni dalle competizioni della Coppa Davis. L’Italia decise diversamente e vinse la sua prima e finora unica Coppa Davis.
Due anni dopo erano in programma i mondiali di calcio in Argentina e la giunta militare a Buenos Aires guidata dal generale Jorge Videla pensò di non seguire l’esempio cileno. Arresti e sequestri avvenivano soprattutto di notte e in segreto. Un’auto senza targa arrivava all’improvviso davanti a una casa, scendeva un gruppo di persone in abiti civili e faceva irruzione portando via la gente. Nessuna notizia veniva fornita ai familiari, che avevano paura di parlarne per non incorrere nella stessa sorte. Hebe de Bonafini, insieme alle altre madri di Plaza de Mayo continuava a chiedere di conoscere la verità. Non diffondendo notizie sul destino degli arrestati il regime terrorizzò la popolazione riuscendo a contenere il dissenso. La presa del potere dei militari fu anzi salutata da molti positivamente come una sorta di ordine che si andava affermando nel Paese davanti a una crescente gioventù che simpatizzava per ideali vicini alla sinistra. Nonostante la crescente sensazione di disagio e timore, se non paura, una parte considerevole della classe media riteneva che se una persona veniva arrestata deve aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare. Una visione di ordine che veniva condivisa anche dalla Chiesa che si andava confrontando in diverse zone dell’America Latina con la Teologia della liberazione. Alcuni vescovi presero posizione in favore delle popolazioni più emarginate e per una chiesa popolare e sociale delle campagne più vicina all’ideologia tradizionale di sinistra che non agli ideali della classe medio-alta della capitale. Anche al di fuori dell’Argentina si era intuito ciò che stava accadendo ma nessuno volle approfondire e il mondo preferì non vedere, non sentire e non parlare. Fu un trionfo per l’Argentina che alzò il trofeo calcistico davanti ai suoi generali, che poterono usare la vittoria sportiva come un successo personale.
Ma già alla fine del 1977 si era capito che qualcosa di atroce stava accadendo. Dopo una serie di violenti temporali l’oceano cominciò a restituire cadaveri sulle spiagge. Di quanto estesa fosse la vicenda dei desparecidos si venne a sapere dopo il 1983, al ritorno della democrazia, quando fu pubblicato il rapporto ‘Nunca Mas’, mai più: dalle torture, agli assassini, ai centri di detenzione clandestini, alle fosse comuni, ai voli della morte… Un altro fenomeno fu quello delle donne incinte nei centri di detenzione. I figli che nascevano vennero affidati in adozione a famiglie di militari. Insieme alle Madri di Plaza de Mayo fu fondata un’altra associazione, le Nonne di Plaza de Mayo con l’intento di far luce sulla vicenda dei figli rubati alle loro madri. Indagini portarono poi alla condanna di ex funzionari del regime che erano stati inizialmente prosciolti. Il film ‘La Historia Oficial’, di Luis Puenzo, racconta di una bambina sottratta a una madre dopo il parto e data in adozione a una famiglia benestante dell’alta borghesia. Il film vinse l’oscar come miglior film straniero nel 1985. Dopo l’arrivo della democrazia nel 1983, pur non avendo il controllo del governo, le forze armate rimanevano sempre potenti e dopo le prime sentenze di condanna le pressioni degli ambienti militari portarono a numerose amnistie. Alcune sono state revocate solo decenni dopo.
Il processo del 1985 fu il primo e unico caso in cui un paese democratico ha messo sotto accusa un regime dittatoriale. Il procuratore César Strassera pronunciò queste parole nell’arringa conclusiva: “Signori giudici, vorrei rinunciare all’originalità nel chiudere quest’arringa. Perciò vorrei usare una frase non mia, poiché già appartiene a tutto il popolo argentino. Nunca más!” Il generale Videla è stato condannato all’ergastolo. All’età di 87 anni nel 2013 è morto senza confessare i suoi crimini.
Grazie a Hebe, alle Madri e alle Nonne di Plaza de Mayo il termine desaparecidos è divenuto parola d’uso comune in tutto il mondo. Il 18 novembre 1992 le Nazioni Unite hanno approvato la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata e il 17 luglio 1998 è stato firmato lo Statuto di Roma per la costituzione del Tribunale penale internazionale. L’articolo 7 elenca i crimini contro l’umanità. Il comma 2 lettera i dell’articolo sette recita: “sparizione forzata di persone significa l’arresto, la detenzione o il rapimento delle persone da parte o con l’autorizzazione, il supporto o l’acquiescenza di uno Stato o organizzazione politica, che in seguito rifiutino di riconoscere la privazione della libertà o di dare informazioni sulla sorte di tali persone o sul luogo ove le stesse si trovano, nell’intento di sottrarle alla protezione della legge per un prolungato periodo di tempo.” E’ lo specchio fedele di quanto è accaduto in Argentina fra il 1976 e il 1983.
Il lavoro portato avanti dalle Madri e dalle Nonne di Plaza de Mayo dal 1995 è affiancato da un’altra associazione, Hijos, i figli e le figlie dei desaparecidos di tutta l’America Latina. Contro l’oblio e il silenzio. Per scovare coloro che hanno commesso quei crimini e sono sfuggiti alla giustizia. Ed additarli dove vivono e lavorano per dire c’è un genocida tra voi. Perché, afferma Hijos, davanti all’impunità non c’è altro modo di essere giudicati se non davanti alla giustizia popolare.
Agostino Mauriello
11 dicembre 2022
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