Il Canto del Cigno
E’ il 19 agosto 1991. Per le strade di Mosca sfilano decine di migliaia di soldati e carri armati. La televisione di stato trasmette immagini dal balletto Il Lago dei Cigni di Ciaikovskij. Quelle stesse immagini erano andate in onda nove anni prima dopo la morte di Leonid Brezhnev, nelle ore in cui l’Unione Sovietica stava scegliendo il nuovo premier. E lo stesso era accaduto per il suo successore, Konstantin Chernenko e poi Yuri Andropov. Il balletto era il segnale che qualcosa di grave stava accadendo e che stava cambiando il corso della storia. Il 19 agosto 1991 è il giorno del colpo di stato promosso dall’ala dura conservatrice del Partito comunista contro Mikhail Gorbaciov, il leader sovietico. Gorbaciov era stato arrestato mentre era in vacanza. E questo è il tentativo estremo di far tornare indietro le lancette dell’orologio sulle riforme democratiche, che però non riesce a trascinare dalla sua parte Boris Eltsin, il rivale democratico di Gorbaciov. Salito su un carro armato, Eltsin esorta i cittadini a resistere e a lottare per la libertà. In migliaia lo seguono ereggendo barricate per le strade. Il colpo di stato fallisce. Gorbaciov viene liberato. Eltsin ha vinto e con lui, allora, la democrazia.
Quelle immagini del balletto di Ciaikovskij sono andate in onda il 3 marzo 2022, non dai canali delle tv di stato ma dall’unica emittente televisiva indipendente rimasta in Russia, Dohz tv- Tv Rain. E’ il canto del cigno della stampa libera. Dohz tv mostra i giornalisti e i tecnici che abbandonano lo studio. Rimane nella sala vuota un televisore acceso dove scorrono le immagini in bianco e nero del balletto. Anche Ekho Moskvy, il più importante canale radio indipendente, da vent’anni punto di riferimento per dibattiti politici e sociali, ha chiuso le trasmissioni. Ordine dell’autorità sulle licenze radiotelevisive. La frequenza è stata assegnata a un’emittente statale. Anche Facebook e Twitter sono oscurati. Il prossimo potrebbe essere Youtube, anche se la propaganda russa ne fa uso e così forse potrebbe salvarsi.
Chiuse le radio e le televisioni libere, l’unico giornale indipendente in Russia rimane Novaya Gazeta, conosciuta per le sue inchieste politiche fin dalla sua nascita diciannove anni fa. Tre suoi giornalisti sono stati uccisi per le inchieste che conducevano, fra cui Anna Politkovskaya, colpita a morte davanti alla sua casa a Mosca. Era il sette ottobre del 2006, il giorno del compleanno di Putin. Un regalo al presidente qualcuno ha scritto. Novaya Gazeta ha scritto questo messaggio su twitter il 4 marzo scorso: “La censura militare in Russia minaccia di perseguire penalmente sia giornalisti che cittadini che diffondono informazioni sulle ostilità, diverse dai comunicati stampa del Ministero della Difesa. Non potremo più scrivere di questo.” Ma il giornale continua a raccontare ciò che accade in Russia, compresi gli arresti di migliaia di persone contrarie alla ‘operazione militare speciale’.
Il piano di Putin è chiaro: nessuna informazione deve passare senza il vaglio dell’apparato statale. Le notizie sulla guerra, diverse dalle versioni ufficiali, possono essere punite con quindici anni di detenzione. Di fatto è imposta la censura e il controllo dell’apparato statale e militare, come se fosse in atto lo stato di emergenza. Chiuse le rotte con i Paesi occidentali, alcuni giornalisti hanno trovato rifugio in Armenia, Georgia, Azerbaijan, Emirati, Turchia. Ma ora uscire dalla Russia è più difficile. I controlli sono severi, ai varchi di frontiera e in aeroporto viene chiesto di mostrare contenuti sui telefoni cellulari. Se vengono riscontrati messaggi contrari alla linea patriottica russa, il rischio è di non poter lasciare il Paese o di essere arrestati.
Anche i Paesi occidentali hanno deciso di oscurare le emittenti russe visibili in Occidente, come Russia Today, controllata dallo stato, in lingua inglese, cancellata dai provider all’estero. Ma è un errore. La forza dei Paesi democratici è nella libertà d’informare e di far vedere ciò che gli altri Paesi mostrano al loro popolo. Ognuno può trarre poi le sue conclusioni. Cosa si può pensare vedendo Putin che discute sorridendo con aria di normalità con un gruppo di hostess della compagnia di bandiera Aeroflot mentre il suo esercito sta uccidendo la popolazione civile in Ucraina? Quali conclusioni si possono trarre quando Putin racconta attraverso la sua tv di stato che l’ ‘operazione militare speciale’ sta andando bene, che vengono colpiti solo obiettivi militari mentre le immagini mostrano invece ospedali e scuole distrutti? O quando la propaganda russa riferisce che i ‘nazisti ucraini’ sparano sulla loro gente, mentre donne, anziani e bambini vivono invece da settimane in scantinati e rifugi e oltre due milioni di ucraini hanno abbandonato le loro case per potersi salvare?
Il problema non sono le tv di stato. Durante la guerra nell’ex Jugoslavia, negli anni novanta, internet era agli esordi e la propaganda veniva portata avanti dalle tv tradizionali. Per anni l’opinione era divisa fra serbi e anti serbi, quando la Jugoslavia era dominata politicamente e militarmente dai serbi. Durante i massacri della popolazione civile in Bosnia molti dubitavano che fossero soprattutto le forze serbe a rendersi autori dei più gravi bombardamenti sui civili. Internet era allo stato infantile e le testimonianze della popolazione venivano quasi sempre filtrate dalla propaganda delle tv di stato. Ma ora la guerra dell’informazione viene portata avanti attraverso internet, a cui tutti hanno accesso. La Russia non è ancora come la Cina dove il messaggio è solo quello dello Stato. Ma il web è anche un metodo usato per creare disinformazione e incide sui convincimenti di molte persone. Perciò è sempre più indispensabile una mediazione giornalistica di qualità. Ma certamente censura e autocensura sono i principali nemici della libertà di stampa e di pensiero ovunque. La presenza stessa della censura è il segnale inequivocabile che non possiamo dare credibilità a chi la promuove. Perciò Russia Today non deve essere oscurata dall’Occidente.
Difficile che esista una famiglia in Russia che non abbia legami con qualche amico o conoscente in Ucraina. I due Paesi sono da secoli legati politicamente, storicamente, economicamente. Quando l’informazione di stato russa racconta che l’Ucraina viene bombardata dai suoi stessi cittadini, forse molti ci credono, ma sempre più persone credono alle telefonate e messaggi che vengono da amici e familiari negli scantinati e rifugi o si fidano delle immagini che mostrano gente disperata in fuga o che già ha riparato all’estero. E aumenta in Russia il numero di coloro che pensano e credono che Putin stia massacrando l’Ucraina e il suo popolo, anche se non possono dirlo apertamente.
Ikea e McDonald hanno chiuso i battenti in Russia dopo vent’anni. Erano simboli che il Paese post-sovietico era diventato come tutti gli altri. Gli scaffali dei supermercati si stanno svuotando e non vengono riempiti. Le sanzioni cominciano a sentirsi. Il rublo ha perso metà del suo valore in due settimane. La Russia è sempre più isolata. Decine di oligarchi arricchitisi grazie alle privatizzazioni post-sovietiche accaparrandosi aziende e risorse di stato con la compiacenza di Putin hanno trovato rifugio negli Emirati Arabi Uniti, dove possono ancora godere delle loro proprietà e panfili, e sono per ora al riparo dalle sanzioni occidentali. Mentre cresce la rabbia e disperazione del popolo russo abituato a sopportare l’insopportabile. Ma fino a quando?
10 marzo 2022