Il Prezzo del Coraggio
La sua scrivania al giornale Novaya Gazeta da dieci anni è vuota. Nessuno l’ha mai occupata. Ci sono dei ritagli di giornale, delle fotografie. E’ rimasta così come l’aveva lasciata. Anna Politkovskaya, 48 anni, ha sacrificato la sua vita per la verità. La verità di raccontare ciò che stava accadendo nel suo Paese, in Russia e soprattutto in Cecenia, teatro di guerre civili atroci. Sempre in prima fila a lottare per i diritti della gente oppressa.
Dieci anni fa fu uccisa a colpi di arma da fuoco nell’androne del palazzo a Mosca in cui abitava. L’ultimo colpo alla testa. Stava tornando a casa dal mercato dove era andata a fare la spesa. Otto anni dopo cinque uomini sono stati condannati per l’omicidio, ma dei mandanti ancora oggi non si sa nulla. Era il 7 ottobre 2006. E’ anche il giorno di nascita di Vladimir Putin. Un regalo al presidente russo per il suo compleanno, qualcuno disse. Oleg Panfilov, direttore del Centro per il Giornalismo in Situazioni Estreme, disse: “Ci sono giornalisti che hanno questo destino sulla loro testa. Ho sempre pensato che qualcosa sarebbe accaduto ad Anya, soprattutto a causa della Cecenia. ”
Alle 16 e 02, l’ora dell’omicidio, nella sede del giornale, Ilya e Vera hanno ricordato dieci anni dopo la loro madre con un minuto di silenzio e una breve cerimonia. Auto e pulmini hanno girato per le strade di Mosca recando una scritta: ‘Dieci anni dopo il suo omicidio, coloro che l’hanno ordinato ancora non si trovano.’
Per anni ha combattuto per il suo giornale contro corruzione, soprusi, ingiustizia e per i diritti umani in Russia e soprattutto in Cecenia, la repubblica brutalizzata prima da Stalin e poi da guerre civili che hanno spazzato via per sempre duecentomila persone. Aveva ricevuto tante minacce, anche di morte. Durante uno dei suoi tanti viaggi in Cecenia venne arrestata dai soldati russi e gettata in una buca. Prima minacciata di stupro, poi i soldati inscenarono una finta esecuzione. “Se dipendesse da me”, le disse un ufficiale, “ti avrei già uccisa”, Ma lei andava avanti. Puntava il dito contro l’allora primo ministro Ramzan Kadirov, fedelissimo di Putin, poi diventato presidente della Cecenia e riconfermato capo dello stato il mese scorso con il 98 per cento dei voti. In cambio della sua fedeltà a Putin, gli è consentito di governare la Cecenia a suo piacimento.
In Cecenia si stava combattendo una seconda guerra, dopo la prima devastante che fece oltre centomila morti. Separatisti ceceni contro esercito russo. La Cecenia storicamente si è sempre opposta al dominio straniero, compreso l’Impero Ottomano del quindicesimo secolo. Per sottometterla, nel 1944 Stalin fece deportare in Siberia metà della popolazione cecena di allora.
Il 5 ottobre 2006 venne intervistata da Radio Free Europe. Era il giorno del compleanno di Kadirov. ‘E’ lo Stalin dei nostri tempi”, disse. “Nel giorno del suo compleanno sogno di vederlo seduto in un tribunale, indagato in base alle leggi più severe, per rispondere di tutti i suoi crimini. Ho le fotografie di due persone sulla mia scrivania. Sto facendo un’inchiesta sulle torture oggi nelle prigioni di Kadirov. Queste persone sono state rapite dalle sue milizie personali per ragioni inspiegabili, scomparse e poi morte.” Due giorni dopo Anna Politkovskaya venne uccisa.
L’abbiamo incontrata due volte, Anya. La prima in una conferenza stampa a Mosca di Amnesty International per la presentazione di un rapporto sui diritti umani in Russia. Era stata invitata a parlare dall’allora Segretario generale di Amnesty International. Non aveva peli sulla lingua. Tutti si aspettavano di sentire da lei accuse verso Kadyrov, da poco diventato padrone della Cecenia e verso i suoi amici al Cremlino. Invece no. “Non ho molte possibilità di parlare davanti a così tanta gente”, disse, “perciò voglio approfittarne per chiedere a chi mi ospita, Amnesty International, di spiegarmi perché ha licenziato la loro collaboratrice in Cecenia. La conosco da tanti anni e sta facendo un lavoro egregio.” Imbarazzo alla conferenza stampa, davanti all’evenienza che anche una grande organizzazione per i diritti umani possa aver pagato dazio alla politica.
La seconda volta l’abbiamo incontrata a Mosca davanti al teatro Dubrovka dove era in pieno svolgimento la crisi degli ostaggi. Era il 25 ottobre 2002. Due giorni prima un gruppo di una quarantina di ceceni, fra cui molte donne, armato e con indosso cinture esplosive, aveva fatto irruzione nel teatro prendendo in ostaggio 850 persone. Politkovskaya faceva parte di un gruppo di negoziatori che cercava di raggiungere con i sequestratori un accordo per liberare gli ostaggi. I ceceni rivendicavano fedeltà al loro movimento separatista. Avevano fatto recapitare una videocassetta ai media con il seguente messaggio: ‘Ogni nazione ha diritto al suo destino. La Russia ha sottratto questo diritto alla Cecenia e oggi vogliamo rivendicare questi diritti che Dio ci ha dato, nella stessa maniera in cui li ha dati a qualsiasi altra nazione.’ Chiedevano il ritiro delle forze russe dalla Cecenia e la fine della guerra. Da due giorni le forze d’assalto erano schierate davanti al teatro e si pensava ad un attacco imminente. Lei ci disse: ‘Se avete la possibilità di avvicinarvi a Putin, chiedetegli se ordinerebbe un blitz delle sue forze speciali se in teatro fra gli ostaggi ci fossero le sue figlie.’ All’alba del giorno dopo all’interno del sistema di ventilazione dell’edificio veniva pompato un misterioso agente chimico che provocò la morte di 39 sequestratori e 129 ostaggi. Le autorità russe definirono il blitz un successo.
Nella Russia post-sovietica, dal 1992 sono stati uccisi 54 giornalisti, venti negli ultimi dieci anni, gran parte dei quali sono ancora senza un colpevole.Natalia Estemirova, giornalista e attivista dei diritti umani, nel 2009 venne rapita in Cecenia e poi trovata morta. L’organizzazione americana Freedom House da 1941 è impegnata nella lotta per le libertà politiche e civili nel mondo. Ha contato 63 attacchi violenti contro giornalisti in Russia negli ultimi dieci anni. Sostiene che oggi la minaccia di chiudere una pubblicazione è sufficiente a mettere in riga i giornalisti restii a sottomettersi al regime e a far scattare un meccanismo di autocensura. La direzione di Lenta.ru è stata sostituita dall’editore quando le critiche verso il Cremlino si erano spinte troppo in avanti. Dozhd, conosciuta come Tv Rain, fu una delle prime televisioni in Russia a coprire apertamente le proteste nel 2011 contro i presunti brogli elettorali alle elezioni parlamentari. Mostrava nel suo logo un nastro bianco, simbolo delle proteste. Anche in altre occasioni non ha mostrato sufficiente deferenza verso il potere. Due anni fa è stata sfrattata dagli studi e costretta ora a trasmettere da un appartamento privato.
La guerra in Ucraina, cominciata nel 2014, ha reso ancora più difficile il mestiere di giornalista in Russia. Il giornale inglese The Guardian riferisce che un popolare conduttore televisivo, Ernest Mackevicius, parlando la scorsa estate a un gruppo di studenti di giornalismo ha detto che la definizione di giornalismo è cambiata, che i media occidentali dicono menzogne sulla Russia e che perciò la Russia deve rispondere. “Dovete capire”, ha detto, “che nell’ultimo anno e mezzo abbiamo lavorato come parte del governo, perché oggi l’informazione è diventata un’arma molto seria ed efficace”.
Ma il giornale di Anna Politkovskaya, Novaya Gazeta, invece, va avanti, come sempre. Il giorno del decimo anniversario dell’uccisione delle sua giornalista ha pubblicato un numero speciale dedicato a lei, un’inchiesta sulla corruzione e sugli abusi dei diritti umani oggi in Cecenia.
07.10.2016
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