Africa Addio
La Valle dell’Omo, in Etiopia, è considerata da geologi, naturalisti, etnologi e antropologi uno dei più preziosi gioielli del mondo. Il fiume Omo nasce nell’altopiano etiopico e dopo 760 km sfocia nel più grande lago desertico del mondo, il Turkana, l’ex lago Rodolfo, che in gran parte si trova in Kenya. Passa dai circa 2500 metri di altezza delle sorgenti ai 500 metri di altezza del lago. Il notevole dislivello rende il flusso dell’Omo impetuoso, interrotto solo da alcune cascate. Vittorio Bòttego, esploratore e ufficiale di Parma, per primo seguì tutto il corso del fiume fino alla foce. In suo onore il fiume venne ribattezzato Omo-Bòttego.
La valle si trova nella Grande Fossa Tettonica – Great Rift Valley – un punto del nostro pianeta in cui le placche sottomarine si scontrano causando sismi. I terremoti portano devastazione ma talvolta anche preziosi regali. La terra spaccata dai movimenti tellurici ha aperto degli strati di terreni profondi da cui sono state portate in superficie ossa dei nostri progenitori. Qui si trovano i più antichi reperti di ominidi, risalenti a tre milioni di anni fa. I più grandi antropologi hanno fatto a gara per dissotterrare quanto più materiale possibile e sono stati adeguatamente ricompensati con scoperte straordinarie. La valle è anche incredibilmente ricca di fauna – serpenti, coccodrilli, ippopotami, primati, elefanti, leoni, leopardi… Ed è un laboratorio unico di studio per gli etnologi. Decine di gruppi etnici diversi, oltre duecentomila persone, convivono grazie all’agricoltura e la pastorizia. La regione, culla dell’evoluzione umana nonché area di eccezionale biodiversità, conta cinque parchi nazionali e due siti dichiarati dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità per il suo ricco ecosistema, in cui ‘ambiente desertico e la diversità di vita dei volatili offrono un eccezionale laboratorio per lo studio delle comunità faunistiche e floreali’. Gran parte della popolazione vive di pastorizia e di agricoltura di sussistenza praticata su piccoli appezzamenti di terreno. L’acqua da queste parti è sempre benedetta. Quando arrivano le piene tracima irrigando naturalmente i campi e consentendo da sempre alle popolazioni e alle mandrie di sopravvivere. Ma non per molto.
Lungo la valle dell’Omo è stata ultimata quest’anno la diga chiamata Gibe III, alta 240 metri e lunga 610. E’ collegata lungo il fiume Omo alla più grande centrale idroelettrica dell’Africa con una potenza in uscita di 1870MW. La Gibe III fa parte di una serie di dighe che ne includono due già esistenti e altre due in via di pianificazione. Quando sarà riempito il suo bacino, la diga raddoppiarà la capacità di produzione idroelettrica del Paese. L’appalto per la costruzione della diga è stato assegnato all’impresa italiana Salini- Impregilo. La diga permetterà l’irrigazione di vaste piantagioni commerciali che si stanno realizzando nelle terre ancestrali delle tribù. Ma la conseguenza sarà anche una drastica riduzione dell’acqua del fiume Omo. Si interromperà il ciclo naturale delle esondazioni, che riversano acqua e humus nella valle, rendendo possibili agricoltura e pastorizia e da cui gli indigeni dipendono per abbeverare le loro mandrie e coltivare i campi. Secondo diversi esperti la diga causerà anche l’abbassamento del livello del lago Turkana in Kenya, dalle cui acque e riserve ittiche dipendono altri trecentomila indigeni. Organizzazioni internazionali hanno denunciato che le autorità locali stanno sfrattando questi popoli dalle loro terre per trasferirli in villaggi di reinsediamento. E il Turkana potrebbe far la fine del lago Aral, fra Uzbekistan e Kazakistan.
Un tempo una delle distese d’acqua interne più grandi del mondo, il lago Aral venne scelto dal governo di Mosca per avviare un grande piano di coltivazione intensiva di cotone, ma il progetto, condotto senza considerazione verso l’ambiente portò al prosciugamento del lago. Oggi l’Aral ha perso il novanta per cento del suo lago. Per la sua posizione geografica è soggetto a una forte evaporazione che non è più compensata dalle acque degli immissari, sfruttate dai consorzi agricoli. La prospera industria della pesca non esiste più. Al suo posto c’è la disoccupazione. Oggi la regione è fortemente inquinata, con ripercussioni sulla salute pubblica. Il ritiro del lago ha causato anche il cambiamento del clima locale con estati più calde e secche e inverni più freddi e più lunghi.
Cosa accadrà alla valle dell’Omo e al lago Turkana? Un rapporto preliminare datato 2010 di uno studio commissionato dalla Banca Africana per lo Sviluppo sosteneva che vi saranno numerosi cambiamenti che avranno un impatto sul lago Turkana. La diga Gibe III, si legge nel rapporto, ‘inevitabilmente porterà a una diminuzione del flusso d’acqua verso il lago. Il Turkana dipende dal fiume Omo per quasi il novanta per cento del suo flusso. Il fiume è il cordone ombelicale del lago. Se viene interrotto il flusso del fiume Omo, il livello del lago scenderà…’ Fra alcuni anni , quando il bacino della diga avrà raggiunto il livello massimo, sarà una catastrofe, si legge nel rapporto. ‘Il volume d’acqua necessario per riempire il bacino depriverà il lago dell’ottantacinque per cento del suo normale flusso nel giro di un anno. Il sistema di pesca sarà devastato dai cambiamenti ai livelli di sedimenti. Un altro studio indipendente dell’ARWG – Gruppo di lavoro per le risorse africane – è altrettanto chiaro: ‘la diga Gibe III produrrà una serie di effetti negativi, alcuni dei quali catastrofici’.
In Etiopia si stima che duecentomila persone dipendano dal fiume Omo per la loro sopravvivenza. Nessuno ha chiesto il loro parere sulla costruzione delle dighe che avranno un impatto devastante sulla loro vita. Il responsabile dell’Agenzia keniota per la Conservazione ha dichiarato che la diga sta provocando “uno dei peggiori disastri ambientali che si possano immaginare.”
Nel marzo scorso il movimento mondiale per i popoli indigeni Survival International ha presentato un’istanza all’OCSE – l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – contro la Salini Impregilo che ha costruito la diga. Secondo Survival, ‘distruggerà i mezzi di sussistenza di migliaia di persone tra Etiopia e Kenya. Salini’, afferma Survival International, ‘ha ignorato evidenze schiaccianti, ha fatto false promesse e ha calpestato i diritti di centinaia di migliaia di persone che ora rischiano di morire di fame perché la più grande e famosa impresa costruttrice italiana non ha pensato che i diritti umani meritassero il suo tempo e la sua attenzione…derubare della loro terra popoli largamente autosufficienti e causare ingenti devastazioni ambientali non è ‘progresso’: per i popoli indigeni è una sentenza di morte.’
Nel luglio 2015 il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha fatto visita al cantiere della diga Gibe III in Etiopia. Renzi ha elogiato l’azienda italiana dichiarando: “Siete una delle aziende più forti al mondo per le infrastrutture, la numero uno per le dighe; capace di innovare, di costruire, di seminare pezzi di futuro. Siamo orgogliosi di voi, di quello che fate e di come lo fate.”
A un anno dal completamento della diga gli effetti già si fanno sentire. Le esondazioni annuali necessarie per l’agricoltura e per la pesca si sono fermate. Le popolazioni sono già state costrette a reinsediarsi altrove, insicurezza alimentare e fame hanno già fatto la loro comparsa. Ed è solo l’inizio. L’acqua che verrà utilizzata per le piantagioni commerciali farà scendere il livello del lago Turkana anche più dei dieci-dodici metri indicati dall’ARWG. Per i pescatori sarà la fine. L’acqua del lago aumenterà di salinità e non sarà più potabile. E per accaparrarsi le sempre più scarse risorse sorgeranno conflitti fra le comunità locali.
Forse il problema ora non è più risolvibile. Ma i danni potrebbero essere ridotti. Esperti di politiche ambientali e attivisti per i diritti umani chiedono al governo etiope di condurre studi approfonditi e indipendenti sull’impatto ambientale della diga e di renderne pubblici i risultati. Chiedono di ridurre drasticamente i progetti di estese piantagioni lungo la valle dell’Omo, di consentire alle popolazioni locali di mantenere il loro bestiame e di compensarle adeguatamente per le perdite subite assegnando loro altre terre. E di istituire un programma adeguato che consenta di integrare l’esistente pastorizia con terreni agricoli irrigati. Per far sì che la valle dell’Omo e il lago Turkana non diventino il lago Aral dell’Africa.
23.08.2016
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