Siamo tutti curdi
Gli attentati di Bruxelles con almeno 32 morti, hanno fatto piombare le grandi città europee nella paura. Un sacchetto per strada non è più immondizia abbandonata ma un pacco sospetto. Aeroporti, stazioni ferroviarie, metropolitane, ristoranti, musei e anche luoghi di culto sono diventati possibili bersagli di attacchi terroristici. ‘Siamo in guerra’ è uno degli slogan più usati da politici a caccia di consensi elettorali e da alcuni media.
‘Siamo tutti belgi’, siamo tutti francesi’ ‘siamo tutti newyorkesi’, è la frase standard quando obiettivi europei o occidentali vengono colpiti. Quando venne cancellata a colpi di arma da fuoco l’intera redazione di un giornale francese, si disse: siamo tutti Charlie Ebdo’. Ma nessuna iniziativa simile è avvenuta dopo la strage di Ankara dello scorso ottobre, 103 morti, durante una marcia di curdi pacifisti che protestavano contro le politiche del presidente Erdogan. Eppure nessuno, né politici, né i media solitamente attenti ai grandi titoli hanno gridato ‘siamo tutti turchi’. E men che meno ‘siamo tutti curdi’. Eppure anche allora si è trattato presumibilmente di un attentato ad opera dell’ISIS.
Perché non siamo tutti iracheni, o siriani, o pakistani, o keniani o somali, o nigeriani, o maliani, o yemeniti quando simili attentati colpiscono i civili in Iraq, Siria, Pakistan, Kenya, Somalia, Nigeria, Mali o Yemen? I morti hanno forse un colore? Un morto occidentale conta più di un indonesiano? Il mondo globale conta solo quando si parla di multinazionali e di economia. Altrimenti soffriamo tutti, chi più chi meno, di etnocentrismo. Né Ankara né Istanbul sono il cuore del mondo occidentale, quello che detta le regole al resto del pianeta. E men che meno lo sono Bamako, Mogadiscio, Lahore, Baghdad.
E quando la redazione-direzione di Zaman, il più diffuso giornale turco, venne sostituita da un blitz del governo perché scriveva di cose non gradite al potere (vedi articolo La Guerra di Erdogan), nessuno si è sognato di gridare ‘siamo tutti Zaman’, nonostante l’attacco alla libertà di espressione sia stato senza precedenti, soprattutto in un Paese che aspira a far parte dell’Unione Europea e quindi di condividerne i valori.
La libertà è il valore principe dell’Unione Europea. Non significa solo libera circolazione di individui e merci, non è solo frontiere aperte. Libertà fondamentale è quella dei diritti umani. Ma qualcuno comincia a pensare che le parole di uno dei candidati repubblicani alla Casa Bianca, Donald Trump, non siano solo propaganda elettorale, semplicemente perché ‘siamo in guerra’. La CIA (Central Intelligence Agency) in un rapporto ha definito la tortura – waterboarding o altro – ‘tecniche avanzate di interrogatorio’ (vedi articolo su tortura). Dopo la strage di Bruxelles anche su questa sponda dell’Atlantico l’idea di Trump non è più una battuta, visto che ‘siamo in guerra’. Niente di più facile cadere nella retorica acchiappavoti dei vari Paesi europei, soprattutto quando si vuole far breccia nella pancia del cittadino, che ovviamente teme per la sua incolumità e anziché una risorsa considera chi viene da fuori un nemico, anche se scappa dalla guerra. Il passo verso l’incitamento all’odio è breve. E l’incitamento all’odio, anche per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, è un reato in molti paesi occidentali, in Italia dal 1993. E’ il momento di non cadere nella trappola che la demagogia sta preparando. Non possono esistere compromessi nei valori fondamentali quali libertà di espressione e salvaguardia dei diritti umani.
03.04.2016
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